La cannabis materna causa un fenotipo patologico nei figli

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 19 ottobre 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Roberto Frau e colleghi introducono un loro interessante studio sull’esposizione prenatale alla cannabis affermando che l’accresciuta disponibilità di questo vegetale ha portato alla diffusa ed erronea convinzione che essa sia un innocuo rimedio naturale da impiegare, fra gli altri casi, nei disturbi indotti dalla gravidanza, quali le nausee mattutine.

Nel corso degli anni abbiamo affrontato sistematicamente il problema della distanza esistente fra le reali conoscenze ottenute attraverso il vaglio attento della ricerca e le idee sull’uso e gli effetti della cannabis diffuse dalle organizzazioni a sostegno della legalizzazione e dalle lobbies create dai grandi gestori del business internazionale. In un articolo di qualche anno fa, dal quale estrarrò dei brani per introdurre il quadro problematico nel quale si inserisce il contributo di Frau e colleghi, esaminavo in dettaglio gli esiti delle verifiche scientifiche sulle sei categorie patologiche principali nelle quali si propagandava un uso efficace e talvolta quasi miracoloso della cannabis[1].

Nello stesso articolo si ribadisce quanto da noi portato a conoscenza del pubblico di studenti e studiosi già molti anni fa, ossia che il THC, il principio attivo isolato e purificato dalla cannabis, da molto tempo è stato brevettato come farmaco con il nome di dronabinolo, per cui, se il medico ne ravvisa l’utilità, dopo aver constatato l’inefficacia di farmaci specificamente indicati per un dato disturbo e sprovvisti degli effetti indesiderati del THC, può prescriverlo, senza fare ricorso al primitivo, anacronistico e pericoloso impiego del vegetale intero che, oltre a contenere altri cannabinoidi, contiene innumerevoli composti mai sottoposti a vaglio chimico-farmacologico o studiati per i loro effetti in vivo.

Crescenti evidenze sperimentali e cliniche indicano che l’esposizione prenatale alla cannabis (PCE) predispone la prole a vari forme di patologia neuropsichiatrica, in genere associate a una funzione dopaminergica aberrante. Nonostante alcuni studi abbiano analizzato i potenziali meccanismi del danno, ancora poco è stato accertato e confermato circa il modo in cui la cannabis altera i processi di maturazione fisiologica prenatale e post-natale dei sistemi neuronici che segnalano mediante dopamina.

Frau e colleghi hanno realizzato un progetto sperimentale che ha valutato in modelli murini il danno prenatale da esocannabinoidi, cercando di identificare le alterazioni e sperimentando con successo una possibilità terapeutica.

(Frau R., et al. Prenatal THC exposure produces a hyperdopaminergic phenotype rescued by pregnenolone. Nature Neuroscience Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-019-0512-2, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Biomedical Sciences, University of Cagliari, Monserrato (Italy); Momentum Laboratory of Molecular Neurobiology, Institute of Experimental Medicine, Hungarian Academy of Sciences, Budapest (Ungheria); Faculty of Information Technology and Bionics, Pazmany Peter Catholic University, Budapest (Ungheria); Department of Anatomy and Neurobiology, University of Maryland School of Medicine, Baltimore, MD (USA); Nikon Centr of Excellence for Neuronal Imaging, Institute of Experimental Medicine, Hungarian Academy of Sciences, Budapest (Ungheria).

L’inizio dell’uso empirico dei derivati di questa pianta si perde nella notte dei tempi; qui di seguito si riporta una sintetica cronologia basata su documenti:

 

Cenni storici. Si propone una sintetica cronologia delle principali tappe del rapporto, nel tempo, dell’uomo con i prodotti della Cannabis sativa nelle sue numerose varietà locali, prima fra tutte la Cannabis sativa indica.

Nel 2700 a.C., secondo una leggenda orientale, le proprietà medicamentose della pianta furono scoperte dal mitico imperatore cinese Shennong.

1500 a.C.: in un papiro medico egiziano risalente approssimativamente a mille e cinquecento anni prima della nascita di Cristo, è menzionato l’uso della pianta come cura empirica per il mal d’occhi e l’infiammazione.

600 a.C.: è documentato in India l’uso come analgesico/anestetico di una bevanda chiamata Bhang e verosimilmente realizzata mescolando al latte un estratto del vegetale.

79 d.C.: Plinio il Vecchio, naturalista ante litteram, cita fra i rimedi per il trattamento del dolore, della gotta e di immobilità articolari dovute a crampi, il liquido ottenuto bollendo le radici della pianta di canapa.

800: i medici islamici definiscono gli estratti della pianta di canapa un “veleno mortale”; tuttavia ne prescrivono quantità limitate per il trattamento di numerosi sintomi.

1542: il medico, naturalista e botanico tedesco Leonhart Fuchs classifica per primo la pianta di canapa attribuendole il nome di Cannabis sativa.

1842: sulla base di esperimenti terapeutici poco prudenti e privi di stime scientifiche per il dosaggio, il chirurgo militare dell’esercito britannico William Brooke O’Shaughnessy impiega derivati della Cannabis sativa per il trattamento di vari sintomi e sindromi, fra cui la nausea, le convulsioni epilettiche e il dolore.

1850: la Farmacopea degli Stati Uniti d’America, nel manuale che conteneva la lista ufficiale dei farmaci autorizzati per l’uso medico, include per la prima volta la marijuana fra i rimedi utilizzabili in terapia.

1925: verificati empiricamente gli effetti tossici e il potenziale tossicomanigeno dell’hashish, della marijuana e delle altre preparazioni realizzate con resina, foglie, infiorescenze e steli della pianta, una “Lega di Nazioni” sottoscrive un trattato per limitare l’uso della cannabis a soli fini medici o di studio scientifico. Intanto, la farmacologia scientifica e la chimica farmaceutica erano ormai divenute una realtà, e i salicilati come l’aspirina ed altri farmaci antidolorifici ottenuti da poco avevano sostituito l’impiego, definito dai medici americani dell’epoca “un po’ stregonesco”, dei derivati della pianta per trattare il dolore.

1930: il Federal Bureau of Narcotics degli USA commissiona studi accurati e rigorosi sugli effetti dei derivati della Cannabis sativa. Le conclusioni del commissario incaricato di sovrintendere l’elaborazione del dossier, Harry J. Anslinger, sono molto severe, soprattutto perché erano stati verificati gli effetti di dosi in grado di provocare gravi forme allucinatorie con conseguenze postume sulla cognizione. Sostenne perciò la pericolosità del potere di “corruzione” psichica della marijuana, dal quale ritenne fosse giusto proteggere i cittadini[2].”[3].

 

A proposito dell’impegno militante di associazioni e partiti politici che hanno sostenuto l’uso del vegetale intero nella cura delle malattie umane (marijuana terapeutica), si osservava:

“Ma, come abbiamo più volte ricordato e ribadito, la ricerca non ha patito di queste restrizioni, visto che il principale principio attivo della cannabis, ossia il Δ9-tetraidrocannabinolo (THC), da molto tempo è stato brevettato e introdotto in terapia (dronabinolo). Altro discorso è invece quello relativo al libero uso, cosiddetto “ricreativo”, dei prodotti interi - contenenti centinaia di composti non studiati singolarmente - come vegetali o resine che, alle dosi in grado di generare effetti piacevoli, causano, in una percentuale elevata di casi, assuefazione, dipendenza e danni alle funzioni cognitive.”[4].

Gli esperimenti condotti da Roberto Frau e colleghi hanno dimostrato che la prole di sesso maschile, in particolare, in un modello di PCE nel ratto, ossia dams exposed to THC (Δ9-tetraidrocannabinolo), presentavano notevoli ed estesi cambiamenti molecolari e sinaptici nei neuroni segnalanti mediante dopamina.

Le alterazioni sono state rilevate e studiate analiticamente nei sistemi neuronici dopaminergici dell’area tegmentale ventrale (VTA, da ventral tegmental area), implicati nei processi legati alla percezione di sensazioni positive e, soprattutto, nella fisiologia del sistema a ricompensa che determina rinforzo ed entra sia nei meccanismi fisiologici del piacere, sia nell’attività a cortocircuito di auto-attivazione che si genera nello stato di dipendenza da sostanze psicotrope (addiction). Le principali alterazioni delle cellule nervose rilascianti dopamina consistevano in variazioni dei contenuti molecolari e della morfo-fisiologia delle sinapsi, con due particolari danni: a) perdita dell’equilibrio fisiologico tra attività eccitatoria e attività inibitoria; b) conversione della polarità nella plasticità sinaptica a lungo termine.

La condizione fisiologico-comportamentale che ne risulta può essere contraddistinta metonimicamente dal connotato più evidente alla sperimentazione: uno stato iper-dopaminergico.

Tale stato accresce notevolmente la sensibilità comportamentale all’esposizione acuta al THC durante la fase di vita corrispondente alla preadolescenza. In altri termini, traslando l’esito sperimentale alla realtà umana, i figli di donne che hanno assunto cannabis in gravidanza sono verosimilmente destinati ad avere una reazione patologica molto più intensa della media all’assunzione di una dose in età giovanile.

I ricercatori, al fine di trovare una strategia terapeutica per i bambini che, a causa dell’assunzione da parte della madre rischiano di rimanere segnati da uno sviluppo neuropatologico per tutta la vita, hanno sperimentato il metabolita steroideo pregnenolone.

Il pregnenolone, precursore comune di progesterone, testosterone, cortisolo e DHEA[5], e molecola approvata come farmaco dalla FDA (US Food and Drug Administration), somministrato alla prole PCE con il fenotipo iperdopaminergico causato da esposizione a cannabis durante il periodo gestazionale, era in grado di correggere i difetti sinaptici e normalizzare l’attività dopaminergica e il comportamento, candidandosi a possibile terapia per questo nuovo tipo di disturbo dello sviluppo dell’encefalo.

Concludendo questa recensione, voglio richiamare ancora una volta l’attenzione dei colleghi medici, dei farmacologi, dei ricercatori impegnati nella didattica e di tutti i professionisti delle neuroscienze che hanno possibilità di diffondere la conoscenza scientifica, sulla necessità di raggiungere il grande pubblico per istruirlo sulla realtà di fatti e nozioni che riguardano la cannabis e aiutarlo a difendersi dalla marea montante di informazione (disinformante) propagandistica, basata sull’amplificazione e l’enfatizzazione di casi particolari e sull’occultamento di tutto ciò che riguarda i danni e la lesività dei derivati della canapa, a cominciare dalla perturbazione dei meccanismi fisiologicamente regolati dagli endocannabinoidi. A questo proposito cinque anni fa scrivevo:

“Ciò che noi dovremmo riuscire ad insegnare nelle università e trasmettere anche all’opinione pubblica, è la distinzione fra la qualità di produrre generici effetti benefici e la qualità specifica che definisce un agente quale mezzo terapeutico per una data malattia. Anche l’esercizio fisico migliora molti parametri negli ammalati di cancro, malattie cardiovascolari e neurodegenerative, ma nessuno si sognerebbe mai di considerare una piacevole corsa tra i campi o una passeggiata di salute in riva al mare come un’alternativa alla chirurgia e alla farmacoterapia che realmente riescono, in molti casi, a salvare la vita in imminente pericolo per una specifica ragione patologica. Nella maggior parte dei casi i derivati della cannabis producono o effetti generici che si possono ottenere con mezzi realmente naturali e, in ogni caso, senza l’assunzione di alcuna sostanza[6], o effetti specifici che sono eguagliati o superati da farmaci-medicamenti già brevettati e in uso.”[7].

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni e di tutti gli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-19 ottobre 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 



[1] Dolore e processi infiammatori; sclerosi multipla; malattie oncologiche; sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS); glaucoma; epilessia. Si consiglia la lettura dell’analisi in Note e Notizie 22-11-14 Cenni di storia, verità e realtà sulla marijuana terapeutica.

[2] Per una dettagliata introduzione sulla Cannabis sativa e sulla storia recente che include lo “studio Bromberg” (1934) e gli atti della “Commissione La Guardia” (organismo medico-giuridico istituito dal sindaco di New York Fiorello La Guardia) si veda nella sezione “AGGIORNAMENTI”: “BM&L SULLA CANNABIS - Cannabinoidi e abuso di cannabis” (scheda introduttiva); si vedano poi i numerosi scritti che trattano l’argomento cannabis direttamente o indirettamente (recensioni di lavori sul sistema degli endocannabinoidi, cioè sulla segnalazione CB1 e CB2-mediata). Si vedano anche: “Note e Notizie 05-09-09 La cannabis è cancerogena oltre che lesiva per il cervello”; “Note e Notizie 18-09-05 L’abuso di cannabis in gravidanza altera il cervello fetale”. L’impegno informativo della nostra società sull’argomento è anche testimoniato dalle recenti “Notule”.

[3] Note e Notizie 22-11-14 Cenni di storia, verità e realtà sulla marijuana terapeutica.

[4] Note e Notizie 22-11-14 Cenni di storia, verità e realtà sulla marijuana terapeutica.

[5] Si produce nella cellula dal colesterolo mediante la reazione di ossidazione di Oppenauer. In condizioni di stress, la sua normale conversione in testosterone si perde, perché la molecola segue la via di sintesi del cortisolo, accrescendo la quota del principale ormone dello stress.

[6] Metodi di rilassamento con ginnastica dolce associata all’ascolto di musica; tecniche avanzate derivate dal training autogeno; metodi di rilassamento associati al sogno da svegli guidato; gioco psicoterapeutico di gruppo finalizzato ad accrescere il tono dell’umore; programmi di esercizio di gruppo per sollecitare la risata e l’atteggiamento umoristico; approccio mente/corpo mediante forme di meditazione occidentale o orientale; yoga; tai-chi; teatro terapeutico; ecc.

[7] Note e Notizie 22-11-14 Cenni di storia, verità e realtà sulla marijuana terapeutica.